L'Egitto a Torino

Il più famoso museo torinese, a cui la città deve la sua immagine all'estero, è senza dubbio il Museo Egizio, ospitato nei locali (...) del Palazzo dell'Accademia delle Scienze (già Collegio dei Nobili), opera insigne di Guarino Guarini.

Nel 1759 il professor Vitaliano Donati fece un viaggio scientifico in Egitto, per ordine del Re Carlo Emanuele III. Ciò che mandò a Torino costituì il primo nucleo del Museo: le grandi sculture, sistemate nelle logge dell'Università di Via Po tra le grandi colonne in pietra, furono studiate con molto interesse dallo Champollion, giunto appositamente a Torino.

Carlo Felice, il 19 dicembre 1823, decise di acquistare la collezione di antichità egiziane del piemontese Bernardino Drovetti (console francese al Cairo) "per maggior ornamento ed utilità della nostra Università". La collezione giunse a Torino nel 1824 e fu collocata al piano terreno del Palazzo dell'Accademia delle Scienze. Il primo catalogo sistematico è del 1852, opera del prof. Camillo Arcuti.
Un decisivo incremento di opere egiziane al Museo fu fato dalle ricerche archeologiche di Ernesto Schiapparelli, nei primi decenni del Secolo XX.

La pièce più famosa del Museo Egizio di Torino è la statua in nero basalto del faraone Ramsete II (considerata da Champollion il vertice della statuaria egizia); notevoli i papiri dei libri dei morti e la tomba intatta dell'architetto Kha (1440 a.C.).

Per l'opera di salvamento delle antichità della Nubia, minacciate dalla diga di Assuan, il governo del Cairo donò al Museo il Tempietto di Ellesia (di Tuthmosi III, 1500 a.C.), il più antico santuario rupestre della Valle del Nilo.

(C.A. Piccablotto, T come Torino, vol. 1, Torino 1986)


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Statua di Ramesse II con Amun e Hathor
Il Museo Egizio di Torino, il secondo al mondo per importanza dopo quello del Cairo, è certamente anche uno dei più antichi. Infatti se la sua fondazione ufficiale si fa risalire al 1824, la "preistoria" dell'istituzione risale addirittura alla prima metà del Seicento, quando giunse a Torino un monumento che già aveva attirato l'attenzione di coloro che, come il Kircher e il Pignoria, si andavano occupando di monumenti egizi, tentando anche il deciframento dei geroglifici. Sull'onda dell'interesse suscitato da questo "insigne monumento" si colloca, alla metà del Settecento, e quindi in un'epoca assai anteriore alla spedizione napoleonica, la missione scientifico-commerciale in Egitto, per incarico di Carlo Emanuele III, del botanico Vitaliano Donati, professore nella Regia Università di Torino. Da questa missione pervennero a Torino tre grandi statue, che furono dapprima sistemate nel palazzo della Università, dove avevano sede i Musei universitari, nonché un certo numero di antichità minori, ora per la maggior parte non più identificabili.

Ma, come si è già accennato, la reale fondazione del Museo Egizio si ha nel 1824, con l'arrivo a Torino degli oltre ottomila oggetti della collezione Drovetti, acquistata dal re Carlo Felice, su sollecitazione di illustri e illuminati nobili piemontesi, tra cui primeggia il conte Carlo Vidua.

Bernardino Drovetti era un piemontese di Barbania che, dopo aver seguito Napoleone, aveva ottenuto un alto grado nell'esercito e, dopo la conquista dell'Egitto, era stato nominato Console di Francia, carica nella quale si mantenne fino al 1829, godendo di grande favore presso il Viceré d'Egitto Mohammed Ali. Era l'epoca in cui la spedizione napoleonica e il patrimonio di conoscenze sull'Egitto antico e moderno che erano stati il frutto degli studi di una commissione di "savans" che avevano seguito Napoleone e avevano esposto le loro osservazioni nei volumi in folio della Description de l'Egypte, avevano suscitato l'entusiasmo d'Europa. Era anche l'epoca in cui consoli delle varie nazioni d'Europa, viaggiatori e avventurieri facevano a gara nel raccogliere antichità egizie per poi rivendere ai migliori offerenti.

La collezione del Drovetti era la più ricca e importante per numero e rilevanza di pezzi: consisteva di circa 100 grandi statue, di 170 papiri, di stele, sarcofagi con relative mummie, oggetti di bronzo, amuleti, oltre a una notevole presenza di oggetti della vita quotidiana, con un interesse per quelle che ora vengono definite testimonianze della cultura materiale che è straordinario per l'epoca in cui venne espresso. Appena arrivata a Torino essa trovò sede nel palazzo dell'Accademia delle Scienze, nel quale si trova tuttora.

Ancor prima che iniziasse la sistemazione dei materiali, compito del quale era stata incaricata la stessa Accademia delle Scienze, accorse a Torino Jean François Champollion, il genio francese che solo due anni prima era riuscito a decifrare la scrittura geroglifica e che sui monumenti torinesi poté ampiamente verificare la validità della sua scoperta. A lui si deve il primo "catalogo" del Museo, e per suo merito il Museo stesso entra come tappa fondamentale nello svilupparsi della neonata egittologia.
Gli anni successivi, fino alla fine dell'Ottocento, furono impiegati nella sistemazione dei materiali (cui nel 1832 si erano aggiunte le collezioni dell'Università e collezioni minori che nel frattempo erano state acquistate, donate o ottenute attraverso scambi) e nella compilazione di cataloghi sempre più ampi e complessi.
Nel frattempo però si andavano formando altre raccolte di materiali egizi che andavano ad arricchire il Louvre (cui pervenne una seconda collezione Drovetti), il British Museum, i Musei di Berlino, Vienna, Pietroburgo e Leida, mentre il Museo torinese vedeva diminuire la sua importanza, soprattutto a causa delle gravi lacune nella sua documentazione.

La collezione Drovetti era costituita infatti da materiali per la maggior parte raccolti in superficie e nella zona di Tebe, pertinenti perciò al periodo che va dal Nuovo Regno all'Età Tarda, mentre mancavano, se non per rare eccezioni, reperti che testimoniassero delle epoche anteriori (più di duemila anni di storia!), dalla preistoria all'Antico Regno e al Medio Regno. Di tale lacuna ci si accorse nella seconda metà dell'Ottocento e si cercò di porvi rimedio con una serie di calchi soprattutto di stele, donate dal Museo del Cairo per l'intercessione di Luigi Vassalli, che di tale Museo era uno dei conservatori.

Nel 1894 divenne direttore del Museo il biellese Ernesto Schiaparelli, che si era formato alla scuola di Gastone Maspero (il massimo egittologo francese, divenuto capo del Servizio delle Antichità in Egitto, che aveva per quattro anni diretto la sezione egizia del Museo Archeologico di Firenze). Lo Schiaparelli, dotato di notevoli energie e di grandi capacità organizzative (che lo portarono anche ad occuparsi delle missioni religiose in Egitto e in Oriente) oltre che di una solida preparazione scientifica, si pose immediatamente all'opera per arricchire il Museo, dapprima attraverso campagne di acquisti (inverno 1900-1901), poi con una serie di campagne di scavo in località oculatamente scelte tra quelle che meglio avrebbero potuto fornire documenti relativi a periodi e a strati culturali non ancora presenti in Museo. Alcuni sono siti regali o connessi con l'ambiente di corte, come Eliopoli, la città sacra al dio del sole Ra: Giza, ove fu esplorata la zona intorno alle grandi piramidi e una parte della necropoli con 1e tombe di funzionari delle dinastie IV-VI, la Valle delle Regine, nella necropoli tebana, con le sepolture di funzionari, principi e regine del Nuovo Regno, tra cui la splendida tomba di Nefertari, sposa di Ramesse II, e le tre tombe dei figli di Ramesse III. A un ambiente di ricchi e potenti principi o capi di provincia (nomarchi), vissuti alla fine della XII dinastia, appartengono le tombe di Qau el-Kebir, di sontuosità quasi regale, e a una categoria di nobili provinciali appartengono anche alcune delle tombe di Assiut, come quella che il principe Ani afferma di aver dipinto da se stesso (I Periodo Intermedio).

Tombe assai povere sono invece quelle rinvenute ad Hammamija, alcune preistoriche altre invece di età greca e romana. Da una città greco-romana continuata anche in epoca copta e poi araba - Ermopoli - provengono frammenti di statue e di decorazioni architettoniche, oltre a frammenti di papiro contenenti modelli per botteghe di tessitori. Deir el-Medina è un esempio di villaggio di età faraonica, ma si tratta di un villaggio anomalo perché, essendo abitato dagli operai che scavavano e decoravano le tombe dei re e delle regine del Nuovo Regno, era situato (al contrario dei villaggi abitati dai contadini) lontano dalle zone coltivate, in una vallata desertica che che lo ha conservato quasi intatto, con tutta l'evidenza delle sue testimonianze di vita quotidiana. E da qui proviene la tomba forse più famosa del Museo, quella rinvenuta intatta dell'architetto Kha e della moglie Merit.
Gebelein, a 30 km a sud di Tebe, è una località di frontiera con una forte presenza di mercenari nubiani, fiorente per la produzione e il commercio di tessuti, illustre per un santuario dedicato ad Hathor. Da questa località, in cui più a lungo si esercitarono gli scavi di Schiaparelli e del suo successore Farina, provengono reperti dalla preistoria all'età greca, tra cui notevoli sono soprattutto due tombe intatte, una della V e l'altra della IX dinastia, una tomba dipinta della XI dinastia e una serie di ostraka demotici tardo tolemaici.

Dopo la parentesi della guerra e la risistemazione dei reperti, l'ultimo rilevante incremento è costituito dal tempio rupestre di Ellesija, scavato nella roccia, della Nubia da Thutmose III alla metà della XVIII dinastia, donato dall'Egitto quale segno di riconoscimento per quanto fatto a favore delle antichità nubiane minacciate dalla costruzione della grande diga di Assuan.

(A. M. Donadoni Roveri: "Museo Egizio", Torino 2006)