martedì 14 marzo 2017

Ma la Soprintendenza a cosa serve, da che parte sta e cos'ha da nascondere?

Poiché non ci è mai stata chiara la dinamica dell'operazione "scippo", anche se ne sono evidenti le motivazioni e la logica sottese, abbiamo pensato di fare un po' di chiarezza e di andare a vedere quali erano i documenti di conferimento di un bene comune (le collezioni egizie di Torino) alla Fondazione. Che, giova ricordarlo, è amministratrice pro-tempore di questo importantissimo patrimonio torinese, ma niente affatto il padrone.

Si è quindi rivolta formale richiesta di accesso agli atti alla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per avere copia del conferimento dei reperti dal ministero alla Fondazione, nonché le dichiarazioni di interesse culturale sulla collezione archeologica. In pratica: quali pezzi erano nella sua disponibilità e quanti erano vincolati.

Questo il 28 Febbraio. Scrivemmo allora: "ora la Soprintendenza ha 30 giorni per rispondere: staremo a vedere". In realtà, non abbiamo dovuto attendere molto, in quanto la Soprintendenza ha risposto a stretto giro, non fornendo i documenti con una scusa speciosa, che non sta assieme neanche attaccata con lo sputo. 
E i Torinesi dovrebbero affidarsi a queste istituzioni e fidarsi alla cieca sul trasferimento dei reperti egizi a Catania, quando non hanno nemmeno il bene di sapere quanti  e quali sono i reperti conferiti?

Ma perché tutto questo riserbo? Perché la Soprintendenza non risponde ai cittadini e si arrampica sui vetri? Perché si preoccupa della "natura giuridica" del Comitato e non si attiva per scongiurare quello che sarebbe un grave danno per l'identità torinese?

Bell'esempio di trasparenza e di rispetto della cittadinanza! Intanto il terminale torinese del ministero romano non ha avuto nulla da obiettare per l'abbattimento dello storico scalone del Mazzucchetti nel palazzo dell'Accademia delle Scienze, durante i lavori di ristrutturazione per l'attuale allestimento del M*seo Eg*z1o (come, d'altronde, per la distruzione delle gallerie di Pietro Micca, dei reperti di piazza San Carlo, per l'abbattimento della Venchi Unica, della Diatto, di stazione Dora, ecc. ecc.).

Ma insomma, sorge allora spontanea la domanda: questo ente lavora proprio contro l'identità piemontese - o è soltanto una nostra impressione?

Certamente tutto il sistema di tutela dei nostri beni culturali andrebbe completamente riformato, assegnando competenze, organizzazione e risorse al Piemonte e togliendole definitivamente ai proconsoli di uno stato lontano e, quando va bene, assente.